Territorio Colli Piacentini - Azienda Agricola Aradelli Vini - Ziano Piacentino Piacenza Territorio Colli Piacentini - Azienda Agricola Aradelli Vini - Ziano Piacentino Piacenza

Il Territorio

Il Nostro Territorio

I Colli Piacentini sono una regione geografica di sinuose colline situata in provincia di Piacenza, fra la pianura padana piacentina e il l’appennino  ligure, posti tra Piemonte, Lombardia ed Emilia.

L’area abbraccia le quattro principali vallate piacentine, ossia: Val Tidone, Val Trebbia, Val Nure e Val d’Arda.

La zona dei colli piacentini è ricca di siti di interesse sia da un punto di vista storico che naturalistico.

Quella di Piacenza, infatti, è la provincia più ricca di castelli di tutta l’Emilia Romagna: se ne contano all’incirca una trentina. Testimoniano l’importanza strategica che hanno avuto nei secoli i territori piacentini e alcuni si possono visitare stagionalmente.

Azienda Agricola Aradelli Vini - Ziano Piacentino Piacenza

Provenendo da est la prima vallata che si incontra è la Val D’Arda, al suo interno si possono visitare i borghi medioevali di Castell’Arquato, Vigoleno, San Pietro in Cerro, Gropparello le antiche rovine romane di Veleja.

Proseguendo, si entra nella Val Nure presso la quale si trovano il Castello di Paderna, il Castello di Vigolzone, il borgo di Grazzano Visconti e altri castelli di proprietà privata.

Come non parlare della val Trebbia e delle sue meraviglie, su tutte l’antico borgo di Bobbio, il Castello di Rivalta, di Montechiaro, oppure il Borgo di Brugnello, particolare perché possiede una vista incantevole sul fiume Trebbia, del quale, Ernest Hemingway, rimasto bloccato al termine della seconda guerra mondiale a causa del crollo di un ponte abbattuto dai partigiani, scrisse “oggi sono rimasto bloccato nella valle più bella del mondo”.

Ed infine la val Tidone, terra di confine e di battaglie, a raccontarcelo oggi sono i numerosi castelli, uno su tutti la Rocca D’Olgisio che offre una vista completa sulla Pianura Padana e la valli minori circostanti.

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Ma i castelli non sono l’unica cosa che la Val Tidone ha da offrire…

Per chi viene dal Nord Italia, è un po’ come visitare le colline del Chianti, il paesaggio infatti, ricorda molto quello toscano. Colline a perdita d’occhio coltivate a vigna, casolari isolati, castelli e fortezze e tanto buon cibo.

Siamo nella Val Tidone, una vallata tra le province di Pavia e Piacenza che prende il nome dal torrente Tidone che l’ha formata. S’incunea tra la Val Luretta da una parte e la Valle Staffora e l’Oltrepò Pavese dall’altra, all’ombra del monte Penice, una delle montagne più alta dell’Appenino ligure.

Il monte domina tutta la zona collinare della valle, disseminata di vigneti fino alla pianura, dove il torrente poi confluisce nel Po. Di tanto in tanto, dalle cime dei colli spuntano campanili, torri e soprattutto fortificazioni, mentre giù, nella zona pianeggiante, è tutto un insieme di percorsi di trekking e di cammini, di sterrati da percorrere in bicicletta o a cavallo costeggiando i torrenti.

Tra i tanti sentieri che si possono fare, quello del Tidone, lungo 43 chilometri, è sicuramente tra i più suggestivi. Si può percorrere anche solo in parte in quanto è diviso in 18 tappe. Ci si immerge tra i boschi e si costeggiano corsi d’acqua. È decisamente rilassante e perfetto per ritrovare la serenità in mezzo alla natura e lontano dai rumori delle città.

Con la bella stagione, sono molti i turisti che amano trascorrere una giornata alla poderosa Diga del Molato, un bacino artificiale nei pressi di Nibbiano.  Qui ci sono piazzole per la pesca sportiva, diversi agriturismi e maneggi e un percorso ciclo-pedonale nel verde.

Girando per la Val Tidone ci si imbatte anche tra pievi, chiese e santuari di diverse epoche. Essendo attraversata dalla Via Francigena, infatti, rappresentavano delle tappe fondamentali per i pellegrini che venivano accolti.

Tra gli edifici religiosi più importanti di questa zona, da sempre meta di pellegrinaggio, c’è il Santuario della Beata Vergine in Santa Maria del Monte che domina la vallata. La costruzione originaria risale addirittura all’VIII secolo, ma fu ampliata dopo il Medioevo.

La Valtidone è anche una terra di tradizioni e di buon cibo. Solo per quest’ultimo vale un viaggio. La cucina qui è molto gustosa grazie anche ai 3 salumi D.O.P. piacentini Pancetta, Coppa e Salame e alcuni caserecci come il salame gentile, la mariola, il “gras pist” (lardo di maiale tritato con aglio e prezzemolo) e i famosissimi “graséi” (pezzi di carne e grasso di maiale cotti, salati ed essiccati).

Vista la natura agricola delle colline di questa valle emiliana, sono molte le aziende agricole sul territorio, le principali delle quali si dedicano alla coltivazione dell’uva da vino.

Viti e vino da sempre

Piacenza è Terra di vini da epoche remote: hanno impiantato viti i paleoliguri, gli etruschi, i romani; hanno fatto il vino dalle nostre parti i legionari latini, i galli, i celti. Hanno amato i nostri vini, papi, re, signori e grandi artisti fino ai giorni nostri.

La storia dei vini piacentini proviene da molto lontano, più precisamente l’origine proviene ed è fondata sulle conoscenze greche.

E con l’età del ferro, al primo millennio A.C., che gli abitanti delle terre mare palafitticole vicino al Po emigrarono verso le colline piacentine, fondando l’importante centro culturale e termale di Veleja e impiantando le prime viti.

Tra il IV e il II sec. a.C. popolazioni galliche scesero in pianura padana (Gallia Cisalpina) e vi portarono le loro conoscenze vitivinicole, compreso un nuovo modo di conservare il vino e trasportarlo: la botte di legno assai più forte e robusta della terracotta.

Famoso nel mondo è il Fegato Etrusco: ritrovato nel 1877 a Settima di Gossolengo, datato II sec. a.C., è un reperto bronzeo che riproduce l’organo anatomico di un bovino e presenta diverse iscrizioni fra cui quella del dio Fufluns, cioè un’aruspice di abbondanza e di protezione, sia enoica che salutare.

L’antica nobiltà dei vini piacentini è suffragata da tanti reperti e testimonianze uniche e inconfutabili.

Si memoria ad esempio, di una citazione bacchica addirittura nel Senato di Roma: Marco Tullio Cicerone attaccò il suo avversario politico Lucio Calpurnio Pisone, nativo di Piacenza, rimproverandogli pubblicamente di far onore eccessivamente ai vini della sua provincia.

Il cuore della val Tidone, Ziano Piacentino, il comune più vitato d’Italia

Posata su sette colli, come la ben più importante e nobile capitale, Ziano ha una storia scritta che risale all’alto medioevo, ed una di reperti e giacimenti che si protende fino all’età della pietra. Le selci lavorate dall’uomo primitivo affiorano ancora nel fondo valle e sui crinali; un insediamento di epoca tardo romana, può sempre affiorare durante i lavori di scavo per l’impianto di una nuova vigna.

Del resto Annibale non passò forse non troppo lontano da qui durante la sua rapida e trionfale discesa verso Roma e la sconfitta di Canne? Il primo documento scritto che testimonia l’esistenza di Ziano risale al 1029: si tratta di un testamento conservato nella Biblioteca Vescovile di Bobbio, nel quale si attestava che il diacono Gherardo lasciava il “castrum de Zilianum” dotato di una cappella dedicata a San Paolo, al marchese Ugo e alla moglie Gisla.

Ziano e le sue frazioni furono capisaldi strategici di grande importanza a difesa dei confini con Pavia; questi territori furono, infatti, abituali teatri di battaglia tra le milizie piacentine di fede guelfa e quelle di Pavia città ghibellina. Nel giugno del 1271 il fortilizio fu protagonista di un altro evento importante: Papa Gregorio X (il piacentino Tebaldo Visconti) lo scelse come sede di un incontro tra il Comune di  Piacenza e Ubaldino Landi portavoce dei Ghibellini. Quest’ultimo però non sottoscrisse alcuna soluzione pacifica guadagnandosi la scomunica.

Tra l’ XI e il IX secolo d.c. Ziano passò nelle mani di diverse famiglie, Malvicini, Picchinino, Arcelli, gli Sforza di Borgonovo e Zandemaria che trasformarono il fortilizio in dimora signorile.

Il comune fu denominato “di Ziano” nel 1888 e “di Ziano Piacentino” nel 1928.

In pieno periodo napoleonico si trova, all’interno di una relazione al consigliere Moreau De S. Méry, una descrizione del terreno del circondario, che viene definito “di poco valore” e in grado di produrre frutta, specialmente “cirase e uva”. La popolazione viene definita “di carattere rustico, tendente al travaglio, incline all’interesse, non troppo industriosa”. La gente di Ziano è rimasta forse quella della relazione napoleonica: rustica, tendente al travaglio, incline all’interesse ma certamente industriosa, se è riuscita a trasformare quello che veniva definito un prodotto di poco valore, cioè l’uva, in un’attività non solo prestigiosa ma anche economicamente produttiva, che ha portato benessere e ricchezza a tutto il paese.

Finalmente a casa… Seminò

Posizionato su un’altura a cavallo dei torrenti Lora e Carona svetta il nostro piccolo paesino, avvolto come da una coperta di vigne e storia.

A causa della presenza di un castello di fondamentale importanza strategica al confine naturale e amministrativo con la Lombardia, gli abitanti della nostra piccola località si sono trovati spesso al centro di assedi ad opera dei Pavesi. Non di rado Seminò è stato annesso al territorio lombardo dopo aver ceduto alle scorribande nemiche, ma le sue alterne vicende non gli hanno impedito di arrivare al giorno d’oggi in così buone condizioni.

L’origine del castello o “torrazzo” di Sanctum Miniatum, è sicuramente da collocare in epoca anteriore al Mille, in quanto in un documento del 1027, si parla della scomparsa della chiesa di Santa Mustiola che sorgeva nei pressi del fortilizio. Sicuramente la collocazione su un colle del castello permetteva, come per altre fortezze della Val Tidone, di assolvere le funzioni di caposaldo strategico contro le numerose incursioni dei Pavesi.

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Nel 1347 il fortilizio ed il feudo di Seminò appartenevano ai Leccacorvi, il cui capostipite venne ricordato per essersi distinto nella battaglia di Mortara, al fianco di Carlo Magno: a loro Semino’ o com’era chiamato in quei tempi,  San Miniato o Saminoto, rimase fino al 1597, anno in cui la famiglia si estinse con la morte del marchese Lodovico, determinando la cessione agli Scotti di Montalbo e in seguito ad altre famiglie.

L’antica “torre”, definita tale a causa delle sue modeste dimensioni, oggi ci appare con un’ampia scalinata sostituita al ponte levatoio. Molto numerosi anche i resti di innumerevoli strutture scomparse, come un esteso recinto murario totalmente scomparso che circondava il colle.

Oltre al castello ed alla sua storia, la presenza del sacello di San Rocco dedicato ai caduti, fa del nostro piccolo borgo, una meta frequentata da ogni turista che si reca nelle nostre zone.

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